Christian Greco, Direttore del Museo Egizio di Torino, alla Sala Convegni della Fondazione C.R. Tortona per celebrare il centenario della scoperta della tomba di Tutankhamun.
Cento anni fa, il 4 novembre 1922, un ultimo colpo di piccone rivelava agli occhi del mondo, ansioso di volgere le spalle agli echi dolorosi della Grande Guerra ed ai problemi economici contingenti, un universo di meraviglie e di segreti fino a quel momento inimmaginabile. Dopo anni di tentativi falliti, di complicanze diplomatiche e burocratiche e di diffidenza sdegnosa da parte dei colleghi più “titolati”, il giovane archeologo inglese Howard Carter ed il suo appassionato finanziatore Lord Carnavon poterono annunciare ufficialmente di aver fatto una scoperta sensazionale: la tomba (quasi) intatta di un Faraone dell’Antico Egitto.
La frase “…vedo cose meravigliose…” riportata nelle sue memorie, ma forse mai veramente pronunciata da Carter, che alla luce fioca di una candela intravvede, attraverso una breccia nel muro i tesori accatastati contro i muri dell’anticamera, suggella l’avvio della creazione di una leggenda. Il “fanciullo d’oro”, il Faraone-bambino morto precocemente a 19 anni e seppellito fastosamente in una tomba non sua diventa, ed è ancora, la rappresentazione simbolica di una storia millenaria, l’icona di una civiltà che, più di tutte, ha affascinato i posteri: nei libri scolastici, nelle ricostruzioni romanzesche, fino ad una serie variegata di libere interpretazioni cinematografiche che attingono a stereotipi figurativi ed interpretativi, alimentati dal culto morboso ed inconfessato che l’essere umano riserva alla morte, alla ricchezza, al mistero.
Per celebrare, e spiegare, la portata di una scoperta eccezionale come quella della della tomba catalogata come KA62 (Kings Valley-62), che ha rivoluzionato la storia dell’archeologia e delle tecnologie d’indagine, Rotary Club Tortona Distretto 2032, in collaborazione con il Comune di Tortona e con la Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona, ha offerto alla città uno straordinario evento culturale, coronato da un’affluenza di pubblico incredibile e da un successo strepitoso quanto meritato: martedì 08 novembre, presso la Sala Riunioni della Fondazione C.R. Tortona, Christian Greco, giovane e dinamico Direttore del Museo Egizio di Torino (il secondo museo dedicato alla cultura egizia al mondo per importanza), ha letteralmente incantato gli intervenuti con una rievocazione puntuale, scientificamente documentata e magistralmente condotta della storia e del destino del “Faraone d’oro”.
Introdotto dal Presidente del Rotary Club, Ing. Alberto Meirana, e dal Sindaco prof. Federico Chiodi, Greco ha così incontrato Tortona per la seconda volta nell’arco di due mesi, dopo il suo primo intervento in occasione dell’ XIX Convegno Internazionale della S.I.P.B.C. nel mese di settembre, omaggiandola con l’entusiasmo, la competenza e l’ineguagliabile capacità comunicativa che gli sono riconosciuti a livello internazionale e che fanno di lui l’assoluto enfant prodige dell’archeologia moderna e della gestione manageriale innovativa degli spazi museali.
Comincia la storia, ed il pubblico è sedotto, affascinato, trasportato lontano nel tempo….
Tutankhamun discende da Amenhotep III, il grande re che, con la moglie Tiy, portò l’Egitto alla massima espansione territoriale, fautore di una politica che identificava il Faraone come l’ intermediario tra il Dio Sole e gli uomini, ed è figlio carnale (o adottivo) ed erede dell’”eretico” Akhenaton, fondatore della città di Amarna e fanatico difensore del culto e del volere dell’Aton, che lo poneva come unico elemento per la salvezza, personificazione stessa del Sole e freno al potere secolare della vecchia casta sacerdotale fedele al dio Amun. Il giovane principe sale al trono all’età di 8 anni, non possedendo il carisma dei suoi avi, né la capacità di altri Faraoni-condottieri della storia come Tutmose III o il grande Ramses II; è il frutto di una stirpe incestuosa e il suo fisico costituzionalmente fragile è, come confermato dagli studi autoptici eseguiti sulla mummia in epoca recente, pesantemente indebolito da tare genetiche e malattie ereditarie (il morbo di Köhler lo costrinse a fare uso di un bastone per camminare per tutta la sua breve esistenza e un’infezione ossea acutizzata dalla malaria fu probabilmente la causa clinica della morte). Eppure, vittima degli intrighi di palazzo, costretto dagli eventi a ripristinare il vecchio culto di Amun-Ra e a modificare il suo nome, il giovane Re avrebbe poi involontariamente superato i cancelli del Tempo e della Morte, raggiungendo, lui sì, l’Eternità, nella cultura e nell’immaginario collettivo.
I tratti perfetti della maschera funeraria, cesellati in un metallo, l’oro, che simboleggia il Sole e la Vita, non sono probabilmente i suoi, così come le rappresentazioni, palesemente femminee, di altre statuette ritrovate nella tomba, sembrerebbero appartenere piuttosto al corredo funebre destinato ad una delle due Grandi Spose Reali del padre, la mitica, bellissima e potentissima Nefertiti, Regina Reggente e Faraone-donna, ma oramai, e per sempre, questi lineamenti di pura bellezza, regalmente stereotipata, sono identificati universalmente con quelli del Re Tut, sulla cui morte “fisica” e successiva “resurrezione mediatica”, studiosi e profani hanno infierito, creando miti di maledizioni capaci di superare i secoli, ipotizzandone la morte per assassinio, pianta dalla sposa-sorella (o cugina?) Ankhesenamun. Ciò che i tombaroli non erano riusciti a trafugare in passato, sorpresi da qualche imprevisto e crudelmente puniti, è ora esposto alla curiosità e all’ammirazione del pubblico: un numero incredibile di reperti in materiali preziosi e di fattura raffinatissima e ben 256 fra amuleti, gioielli, protezioni sacre strappate alla mummia e a quel silenzio millenario che la tomba aveva custodito fino ad un secolo fa. Ed il corpo del Faraone, che oggi sarebbe stato rispettato e lasciato riposare nelle sue bende, fu allora, in un’epoca tecnologicamente ancora arretrata e priva degli attuali scrupoli conservativi e filologici, smembrato, arroventato con lampade ad olio e fatto a pezzi per sciogliere gli strati di resine che ne impedivano l’estrazione dai sarcofagi..
Dopo 8 anni di scavi, portati avanti per 17 ore al giorno, nutrendosi solo di sgombro sott’olio, Carter non vide mai riconosciuta l’importanza del suo lavoro dalle baronie delle facoltà universitarie. Al suo funerale non presenziò nessun rappresentante della cultura ufficiale, ma sulla sua lapide Carter volle orgogliosamente essere ricordato come “egittologo”, in modo che il suo addio alla vita, come quello di Tutankhamun, rimanesse sulla bocca di “ogni bambino del villaggio e dei suoi figli e dei suoi nipoti, per sempre”. L’attuale Costituzione dello Stato Egiziano impone che la maschera mortuaria ed il trono del Faraone, senza dubbio i due oggetti più iconici del tesoro funerario, non possano uscire dal Paese e siano visibili ogni giorno nell’attuale sede del Museo Egizio del Cairo. Ma il Presidente Abdel Fattah al-Sisi, non a caso, vuole che il più grande museo al mondo, la cui apertura è prevista nella primavera del 2023 con una cerimonia alla quale parteciperanno tutti i capi di Stato, rappresenti, come per l’inaugurazione del canale di Suez, un’occasione per rilanciare l’immagine del Paese a livello mondiale.
E così, dopo millenni, dopo l’oblio, senza aver acquisito gloria o riconoscimenti terreni, senza aver combattuto nemici o annesso territori, il Re-bambino e l’archeologo, che ne fu ossessionato per tutta la vita, conquisteranno finalmente l’Eternità e faranno nuovamente dell’Egitto “la Luce del Mondo”
Lucrezia TETI
I.I.S. . Marconi Tortona
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