Paesaggi griffati e marketing territoriale: quando il turismo diventa branding

Un saggio di Davide Papotti analizza con sguardo critico e interdisciplinare la trasformazione del paesaggio in oggetto di consumo, tra marketing, immagini e desideri collettivi.

Nel saggio Immaginari geografici e marketing turistico: dal “brand territoriale” ai “paesaggi griffati”, il geografo Davide Papotti ci accompagna in un viaggio attraverso le nuove dinamiche della valorizzazione territoriale, dove il paesaggio non è più solo ciò che si vede, ma ciò che si comunica, si promuove, si consuma. In una società sempre più interconnessa e affamata di immagini, le strategie di marketing si impossessano dell’identità dei luoghi, trasformandoli in “marchi“, “griffe“, “loghi“. Il paesaggio diventa così un prodotto da vendere, riconoscibile per un dettaglio estetico, uno slogan, una fotografia virale su Instagram.

Papotti, professore associato all’Università di Parma, ci propone una riflessione che incrocia geografia culturale, antropologia, comunicazione e urbanistica, offrendo strumenti per comprendere il presente e immaginare scenari futuri del turismo e della promozione dei territori. Ma anche per interrogarci su cosa perdiamo quando riduciamo un luogo alla sua immagine patinata.

Il paesaggio nell’era dell’immagine

Il cuore del saggio è la consapevolezza che oggi il paesaggio non esiste più solo come realtà fisica, ma soprattutto come immagine. Un’immagine costruita, condivisa, filtrata e spesso virtualizzata. Il paesaggio, scrive Papotti citando Franco Farinelli, è “un modo di vedere“, non solo un luogo tangibile. E questo modo di vedere è oggi plasmato dai media, dai social network, dalle campagne pubblicitarie, dai siti di recensioni.

È il meccanismo del “selfie del mondo”, per dirla con Marco D’Eramo: i turisti scelgono i luoghi da visitare in base alla loro riconoscibilità visiva e all’effetto fotografico. A loro volta, scattando e condividendo foto, alimentano la visibilità e il desiderio verso quei luoghi. Si innesca così un circolo autoalimentato dove il paesaggio diventa attrazione proprio perché fotografato, e viene fotografato proprio perché attrazione.

Dalla rappresentazione alla brandizzazione

La seconda tappa del ragionamento di Papotti è l’analisi del passaggio dall’immaginario al marketing: in un mondo che consuma immagini, anche i luoghi diventano marchi. Nascono così i brand territoriali, ovvero immagini semplificate e codificate di città, regioni o paesaggi, pensate per essere vendute e riconosciute in un contesto di competitività globale.

Papotti usa la metafora dei “paesaggi griffati“: luoghi che, come abiti di marca, portano cucita addosso una firma riconoscibile. Questa firma può essere un logo turistico, un edificio iconico progettato da un’archistar, una denominazione d’origine, o un evento internazionale. Milano, ad esempio, è il caso-scuola di una città che ha saputo trasformare il proprio skyline e la propria immagine pubblica in un brand globale.

L’identità come progetto (e come prodotto)

Un punto centrale del saggio è la critica alla tendenza sempre più diffusa di progettare l’identità dei territori a tavolino, come fosse un prodotto da lanciare sul mercato. Corsi universitari e master – come quello citato del Politecnico di Milano – insegnano a costruire il brand dei sistemi territoriali, partendo dal “genius loci” ma con finalità prettamente economiche: attrarre turisti, investitori, risorse.

Papotti invita a riflettere: l’identità di un luogo può davvero essere progettata? E soprattutto: chi ha il diritto di farlo? Dietro la costruzione di un brand si nascondono spesso logiche escludenti, che privilegiano ciò che è vendibile e fotogenico a scapito della complessità, della storia, della vita quotidiana degli abitanti.

Paesaggi da chi? Paesaggi per chi?

La domanda che attraversa in filigrana tutto il saggio è profondamente politica: di chi è il paesaggio? Chi possiede l’immagine di un luogo? Chi ha il diritto di raccontarlo, promuoverlo, venderlo? Il rischio, denuncia Papotti, è che la retorica del brand territoriale metta da parte le comunità locali, riducendole a comparse in una narrazione costruita altrove.

In quest’ottica, si comprende l’interesse dell’autore per pratiche come il place-telling, cioè la narrazione del luogo a partire dalle voci e dalle esperienze di chi lo abita. Un approccio che rimette al centro le persone, la memoria, la pluralità degli sguardi. E che potrebbe rappresentare una via d’uscita dall’omologazione griffata del paesaggio.

Conclusioni

Quello di Davide Papotti è un saggio denso ma accessibile, teorico ma ricco di esempi concreti, che riesce a tenere insieme riflessione accademica e urgenza civile. È una lettura preziosa per chi si occupa di promozione territoriale, turismo, comunicazione, urbanistica, ma anche per chi semplicemente ama i luoghi e si interroga su come proteggerli.

In un mondo in cui tutto tende a diventare immagine, anche il paesaggio rischia di svanire, come denuncia con tono amaro lo scrittore Guido Ceronetti nella citazione finale del saggio: “Oggi [la bellezza] è vittima”. Il compito della geografia – e forse anche del giornalismo locale, come nel caso di Tortona Oggi TV – è quello di mantenere vigile questa consapevolezza, e di alimentare uno sguardo critico che vada oltre le griffe.

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