Il mio personale contributo al Giorno del Ricordo. Ne avevo già parlato nella 58^ puntata del Country User, di cui trovate il podcast.
Il Giorno del Ricordo
Il 10 febbraio di ogni anno ricorre il Giorno del Ricordo, istituito nel 2004 con la legge n. 92, per conservare e rinnovare «la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale».
Ora su quello che successe in seguito all’armistizio dell’8 settembre non c’è mai stata molta chiarezza e per molti anni le vicende cosiddette delle “Foibe” sono state quasi dimenticate. Da parte sua l’allora Partito Comunista non aveva piacere di divulgare troppo quello che fecero i partigiani di Tito alla popolazione italiana; dall’altro mai nessuno, neanche diciamo così, da destra, lo fece, anche perché, se lo avesse fatto, avrebbe poi anche dovuto giustificare la presenza del campo di concentramento della “Risiera di San Sabba”, “operativo” dal 1943 al 1945 a Trieste e unico sul territorio italiano dotato di camere a gas. Un Lager nazista a tutti gli effetti, che fu luogo di eliminazione di tanti oppositori serbo-croati.
Oggi la destra nazionalista accusa i partigiani di Tito di aver ucciso molti cittadini italiani, non solo i gerarchi fascisti, ma anche gente comune per il solo fatto di essere italiano, e quindi per loro “fascista“. Il paradosso che a passare per le foibe furono anche i partigiani italiani che decisero di rimanere a combattere al fianco di quelli di Tito.
Dal canto suo, oggi la sinistra risponde che il comportamento così cruento fu la risposta a vent’anni di oppressioni e di persecuzioni verso la popolazione slovena, in seguito al trattato di Rapallo che annesse l’Istria, la città di Zara e alcune isole del Cuarnero all’Italia, seguite, qualche anno più tardi, anche da Fiume (Rijeka) e da tutti territori a maggioranza croata. Con la Salita al potere di Mussolini fu chiaro che il governo italiano aveva come obiettivo la cancellazione dell’identità culturale e linguistica delle popolazioni locali; furono abolite le associazioni e gli enti culturali, sociali e sportivi; si vietò l’insegnamento e l’uso delle lingue croata e slovena nei luoghi pubblici, cessarono di uscire i loro giornali e i libri e cambiò persino la toponomastica stradale. I contadini rimasero senza le terre e le proprietà, espropriate a favore dei coloni italiani. [Fonte]
Ora, probabilmente la verità sta nel mezzo, quel che è quasi certo è che vittime dei partigiani titini ad un certo punto caddero addirittura i partigiani italiani. Per questo, seppur non costretti, molti italiani decisero di ri-entrare nei confini nazionali. Leggendario fu il Piroscafo Toscana che faceva la spola tra l’Istria e il porto di Venezia e quello di Ancona.
Per farla breve furono circa 350.000 gli esuli, e 20.000 coloro che decisero di rimanere; 20.000 i morti (nelle foibe o deportati).
Corso Alessandria 62
In tutta Italia furono un centinaio i Campi Profughi che li accolsero e uno di questi era proprio a Tortona, in corso Alessandria, 62 nello stabile dell’ex Caserma Passalacqua, dove adesso c’è il Comune, per intenderci. I quattro edifici che si affacciano sul cortile.
E di questo la testimonianza c’è, perché nel 1996 venne pubblicato il libro “Corso Alessandria 62” appunto, che porta la testimonianza dei circa 25 anni in cui è stato attivo il Campo profughi di Tortona, dal 1946 ai primi anni Settanta. Tra l’altro questo libro è stato ristampato nel 1998, segno del suo valore. Il libro ha avuto il plauso del Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro ed ha vinto il premio Ignazio Buffa 1997 come miglior libro pubblicato nella provincia di Alessandria nel biennio 1996/97.
E’ un libro fatto molto bene e che invito tutti a leggere, è disponibile nella nostra biblioteca ed in quasi tutte le altre biblioteche del Piemonte. Per metà è in forma testuale e per metà è ricchissimo di fotografie scattate nel Campo e poi, sempre più, in città. Il libro stesso accompagna il lettore dal momento in cui la vita era tutta all’interno del Campo, fino a quando, era ormai quasi completamente condivisa con la città. Oltre alle testimonianze dirette dei profughi che sono stati intervistati dagli autori e anche dai ragazzi delle scuole medie, si fa riferimento agli articoli pubblicati da “Il Popolo Dertonino”, che ai tempi era l’unico giornale che usciva in città ed aveva anche notizie di prima mano perché la comunità cattolica, guidata da don Francesco Remotti, è stata sempre presente e sempre ben voluta da queste popolazioni profondamente religiose. Pensa che a un certo punto il corteo della Madonna della Guardia faceva sosta nel Campo, in cui trovava un’accoglienza entusiasta che intrecciava le abitudini delle terre di origine alle tradizioni tortonesi.
Il “Campo”, durante i primi 15 anni di vita, fino al 1962, era popolato da almeno 1500 persone alla volta, era una città nella città. In tutto sono transitati a Tortona circa 6000 esuli Giuliano Dalmati, di questi un migliaio sono rimasti a Tortona, gli altri hanno proseguito il loro viaggio verso altri luoghi in Italia o all’estero. Le prime forme di integrazione sono avvenute grazie allo sport, e anche grazie al lavoro. Erano queste le occasioni in cui i profughi venivano a contatto con le abitudini e la lingua (allora quella ufficiale era ancora il dialetto) tortonesi. Chiudo così, con i risultati sportivi raggiunti dai “profughi”: Pietro Moratto fu un ciclista professionista che fu anche Gregario di Fausto Coppi alla Bianchi e il Derthona Basket, che negli anni Cinquanta era praticamente tutto costituito da giocatori Giuliano Dalmati.
Link al podcast della puntata del Country User in cui in 5 minuti ho cercato di dire tutte queste cose
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