Grande ritrovamento archeologico in Val Grue: vengono alla luce i resti di Villa Floriaca

A Villa Sant’Innocenzo, nel comune di Sarezzano, durante alcuni lavori agricoli sono venuti alla luce i resti della villa appartenuta alla famiglia dei Quinzi.

Sant’Innocenzo, Vescovo di Tortona per 28 anni

Storicamente si sapeva dell’esistenza di “Villa Floriaca” sulle sponde del torrente Coluber, antica denominazione del Grue per la sua forma serpeggiante, coluber infatti in latino significa “serpente“.

Villa Floriaca apparteneva alla famiglia senatoria dei Quinzi che ne IV secolo dopo Cristo aveva aderito alla religione cristiana. Il luogo in tempo di persecuzioni era anche un rifugio per i fedeli della prima cristianità.

Quinzio con la moglie Innocenza, nobildonna lucchese, e il figlio Innocenzo, furono validi protettori dei cristiani tortonesi, finché nell’ultima tremenda persecuzione, scatenata dall’imperatore Diocleziano, anch’essi soccombettero.

Il vescovo di Dertona san Giuliano e il suo diacono san Malliodoro, vennero arrestati a Villa Floriana; Giuliano fu decapitato fuori di Porta Ticinese sulla via per Viqueria (Voghera), Malliodoro riuscì a nascondersi, mentre Innocenzo ventiduenne venne imprigionato e i suoi beni di famiglia confiscati: correva l’anno 303 e la Chiesa tortonese veniva squassata fin nelle fondamenta, come mai era avvenuto dai tempi della sua fondazione e la successione dei Vescovi si interruppe per quindici anni. Con la pace di Costantino e la fine delle persecuzioni nel 313, i cristiani rialzarono il capo e a Dertona tornò il vescovo nella persona del diacono Malliodoro, ordinato dal vescovo di Milano san Materno nel 318.

Nel frattempo Innocenzo si recò a Roma per riottenere dall’imperatore i beni paterni confiscatigli durante la persecuzione e ottenne per la sua causa l’appoggio del Papa san Silvestro, che lo ordinò diacono tenendolo alcuni anni presso di sé e poi lo invio a Tortona come vescovo, dopo averlo consacrato personalmente il 24 settembre 325.

Nobile, circondato dall’aureola del martirio, accompagnato dalla benedizione del Papa e dalla protezione dell’imperatore, sant’Innocenzo ritornò alla terra natale, inaugurando una nuova primavera per la Chiesa tortonese. Si prodigò per confermare nella fede i Cristiani e per guadagnare a Cristo i pagani. Riorganizzò i fedeli della città e delle campagne e diede per la prima volta nella storia una definitiva fisionomia territoriale alla diocesi.

Dopo avere fatto dono dei suoi beni di famiglia alla diocesi, si preoccupò di innalzare in Tortona i monumenti della fede cristiana, che finalmente poteva uscire con dignità alla luce del sole; edificò una grande basilica sul colle che sovrasta la città, presumibilmente nell’area occupata oggi dallo stadio, dedicandola ai Santi Sisto e Lorenzo come omaggio ai martiri della Chiesa di Roma. Questa chiesa giunse fino ai tempi moderni e andò distrutta soltanto nel 1609, dopo che fu inglobata nelle fortificazioni del castello e trasformata in polveriera dagli Spagnoli, a causa di un fulmine che diede fuoco alle polveri durante un violentissimo temporale; in essa trovò sepoltura il corpo dello stesso Innocenzo e servì da Cattedrale a partire dal X secolo.

Successivamente edificò la chiesa dei Dodici Apostoli, e quella in onore del primo martire Santo Stefano, le cui fondamenta sono state individuate nell’area cittadina ora compresa tra le vie Sada, Zenone e piazza Malaspina. Alle pendici del colle che sovrasta la città, Innocenzo edificò il battistero e la chiesa di Santa Maria, che alcuni storici hanno voluto identificare come una precedente chiesa mariana nell’area dell’attuale chiesa di Santa Maria Canale. Per il battistero, di forma ottagonale, circondato da ventiquattro colonne di marmo, era necessario infatti un luogo ricco di acqua corrente, che permettesse il battesimo per immersione come era in uso nei primi secoli, e così il vescovo scelse una zona ricca di sorgenti e di rivi che scendevano dalle colline, ai piedi e non alla sommità del colle tortonese.

Ancor’oggi la zona circostante la chiesa di Santa Maria Canale evoca nei nomi un’antica toponomastica legata all’acqua e ai suoi usi sia rituali che profani: la chiesa è popolarmente detta “La Canale”, la piazza sovrastante è indicata come “Il Lavello” a ricordo dei lavatoi pubblici di un tempo, mentre dove ora vi è l’istituto “Dante” sorgeva la chiesa di “San Giovanni in Piscina”.

Nella chiesa di Santa Maria Innocenzo amava spesso officiare le divine liturgie e lì vi compì un singolare prodigio: chiese che gli venissero portate delle braci, necessarie per i sacri riti, e una donna di fede, Senatrice non avendo dove riporle, in uno slancio di generosità si mise le braci in grembo e senza danno, né di sé né degli abiti, le recò al vescovo.

Sull’area della sinagoga, che fece demolire, costruì la Cattedrale fuori Porta Ticinese presso il luogo del martirio del vescovo della sua infanzia san Giuliano, sull’area all’incrocio dell’attuale via Emilia con la strada per Castelnuovo. Questo tempio funzionò fino al X secolo, quando venne abbandonato in seguito alle incursioni degli Ungari perché essendo fuori le mura non era più sicuro.

Innocenzo aveva una sorella che prese, com’era costume dell’epoca lo stesso nome della madre, Innocenza; desiderosa di seguire anch’ella il Signore si consacrò alla preghiera e alla carità, vivendo in penitenza accanto al fratello vescovo. Per lei Innocenzo costruì un palazzo, sul colle dove ora sorge il convento dei Cappuccini, dotandolo di pozzi e acqua corrente, convogliandola attraverso un’ampia cisterna. Ad Innocenza si unirono presto altre donne pie che condividevano i suoi ideali e che formarono il nucleo di quello che alcuni secoli più tardi, quando la vita religiosa si era ormai affermata e organizzata nella Chiesa, diverrà il monastero di Sant’Eufemia.

La scoperta della Tomba di San Marziano

La gloria più grande attribuita a Sant’Innocenzo dalla tradizione tortonese e quella del ritrovamento del corpo di San Marziano, il primo vescovo della città, evangelizzatore immediatamente a ridosso dell’età apostolica e martire nel 122. Il luogo della sua sepoltura, avvenuta in segreto ad opera del cavaliere romano san Secondo, che pochi giorni dopo incontrerà il martirio ad Asti, era rimasto ignoto per tre secoli. Innocenzo lo cercò con cura negli antichi cimiteri e nelle necropoli lungo le vie consolari, ma tutto fu vano: nessuna tomba rivelava la sepoltura del santo Martire, finché intervenne il Cielo. Il prete Giacomo stava officiando l’eucaristia nella chiesa di Santa Maria quando gli fu rivelato in visione il luogo del sepolcro di San Marziano, non lungo le vie che collegavano la romana Dertona a mezz’Europa, secondo la consuetudine latina, ma a lato di un polveroso viottolo, che scendeva tra gli orti e le sterpaglie fino allo Scrivia, sotto le fronde di un sambuco. Sant’Innocenzo corse subito sul luogo, portando con sé i diaconi Celso, che sarà poi suo biografo, e Gaudenzio; sotto le radici del sambuco vi era il sepolcro, povero e disadorno, coperto solo da una lastra di terracotta con l’iscrizione: “qui riposa il corpo di Marziano”. Allora radunò il clero e il popolo e al canto di inni e salmi aprirono la tomba, trovandovi le ossa del martire, la spugna con cui fu lavato il corpo e l’ampolla col sangue. Pieno di gioia per quella grazia soprannaturale, Innocenzo sostituì la primitiva tomba con un più degno sepolcro in pietra e sopra vi fece edificare una grandiosa basilica, che fu terminata in un anno e divenne nei secoli successivi la potente abbazia di San Marziano, visitata da re, papi e imperatori.

Sant’Innocenzo morì il 17 aprile del 353, dopo aver retto per ventotto anni la Chiesa tortonese e averla resa grande e florida, feconda di santità e salda nella fede, al punto che il suo successore, sant’Esuperanzio, fu uno dei più accesi nemici dell’eresia ariana, accanto a sant’Ambrogio e sant’Eusebio.

Il ritrovamento del mosaico di Villa Floriaca

Queste le notizie storiche, oggi l’importante ritrovamento dei resti della villa nella zona che ancora oggi dai contadini è chiamata “la Flora“, forse in ricordo del nome della Villa Floriaca. L’area non è accessibile in quanto sono in corso approfondimenti da parte della Sovrintendenza archeologica. Sembra che il ritrovamento più significativo sia un pavimento a mosaico con il disegno di un pesce.

Il pesce in greco si dice ΙΧΘΥΣ (ichthys), che a sua volta è un acronimo/acrostico che sta per “Ἰησοῦς Χριστὸς, Θεοῦ Υἱὸς, Σωτήρ” (Iēsous Christos, Theou Yios, Sōtēr), che si traduce in italiano: “Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore“. La presenza di quest’immagine sarebbe legata al fatto che il luogo era un rifugio per i Cristiani durante le persecuzioni.

Speriamo che il luogo, così interessante per la storia della prima cristianità nella nostra zona, sia presto aperto al pubblico per poterne ammirare la bellezza.

M.D.

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