Cronaca della grande manifestazione dell’11 marzo a Steccato di Cutro

Riceviamo e pubblichiamo il racconto dell’esperienza di un viaggio da Milano alla Calabria per dare appoggio al Comitato 26 febbraio.

Ad oggi sono 90 i corpi senza vita recuperati dal naufragio del caicco, oltre 30 i minori, 21 nella fascia d’età tra gli 0 e i 12 anni. Su 180 occupanti del barcone, 81 si sono salvati ed una decina potrebbero essere ancora dispersi.

Milleduecentocinquanta chilometri di strada percorsa dal pullman di Mediterranea, dalla stazione di Milano Lampugnano a Steccato di Cutro, per un totale di oltre sedici ore di viaggio di sola andata, attraverso tutto lo stivale, da nord a sud. Trenta i passeggeri, attivisti, militanti, studenti da Milano e altri ventuno da Bologna, per un totale di cinquantun posti: pullman pieno, obiettivo raggiunto.

Un lungo viaggio notturno, con rare fermate, attraverso il Belpaese, fino al centro del Mediterraneo. E’ già mattino avanzato quando arriviamo in Calabria. Ci vengono incontro i Monti del Pollino, città e paesi sparsi sui pendii, distese verdi e pascoli con greggi e poi, a perdita d’occhio, aranceti con i frutti maturi e limonaie cariche di limoni gialli che spuntano tra il verde del fogliame. Verso mezzogiorno, attraversiamo Cutro, cittadina dell’entroterra, e poi via verso Steccato di Cutro a circa una quarantina di chilometri, sul mare, verso il luogo in cui si è consumata la tragedia. E’ una giornata grigia, fa capolino un pallido sole, ma spira un forte vento freddo.

Guardiamo fuori dal finestrino e restiamo in silenzio. Pensiamo a quella terribile notte, all’ululare del vento, alle onde, quando il caicco si è spezzato in due, rovesciando il suo prezioso carico di umanità, di uomini donne e bambini in fuga dalle nostre guerre, nel mare tempestoso, ignorati da chi doveva prestare i soccorsi, ma aiutati da pescatori, medici, volontari e comuni cittadini che, in quell’alba tragica, si sono tuffati in mare per cercare di salvare più persone possibili. Gente del sud, poveri di risorse, ma non di umanità.

Il corteo si è mosso dal parcheggio dei pullman provenienti da ogni parte della penisola in un lungo e colorato serpentone, alzando cartelli, striscioni, gridando slogan contro il governo e quella che
appare dalle ricostruzioni come una vera e propria strage di stato. In testa, i parenti delle vittime, dietro lo striscione del Comitato 26 febbraio.

La spiaggia di Steccato di Cutro, battuta dal vento freddo, davanti ad un mare color piombo, che continua a restituire corpi, tre, di cui due di bambini, quella stessa spiaggia ha accolto le circa
diecimila persone venute a portare vicinanza, sostegno e solidarietà alle vittime, ai sopravvissuti, ai loro parenti.

C’è stato un momento di preghiera islamica, officiata da un imam, a cui ha fatto seguito un minuto di raccoglimento, con centinaia di persone che si sono inginocchiate sulla spiaggia, davanti al mare.
Chi piangeva, chi pregava, chi restava solo in silenzio.

A seguire, gli interventi dei parenti della vittime che hanno espresso non solo commozione, ma anche rabbia per l’immane tragedia e la mancanza di soccorsi. “Scappiamo dalle nostre case, in Afghanistan, perché siamo continuamente minacciati di morte. Se non partissimo, avremmo comunque il destino segnato”. L’uomo che parla è afghano, racconta, con la voce strozzata, che si è imbarcato con suo cugino, la moglie e due bambini. Sono tutti morti, ma non tutti sono stati restituiti dal mare, manca ancora uno dei piccoli. Il fratellino è stato ritrovato in mare che galleggiava, venerdì ed è toccato proprio allo zio riconoscerlo il giorno dopo.

Cala un silenzio irreale sulla spiaggia di Steccato di Cutro, ci sono diecimila persone, immobili, ad ascoltare. C’è chi ricorda, come Fatima, giovane italiana, di origine africane che vive a Napoli, che non bisogna scordarsi dei migranti il giorno dopo, quando verranno meno dolore e rabbia, quando sulla tragedia si spegneranno i riflettori e la stampa avrà altro di cui occuparsi: “Noi lottiamo ogni giorno – dice – quando dobbiamo recarci in Questura per i documenti e ci fanno attendere intere giornate o solo per cercare una casa o per trovare un lavoro qualsiasi”.

Un superstite siriano racconta piangendo di non essere riuscito a salvare il fratellino di sei anni che la madre gli aveva affidato e, per questo – dice – vivrà sempre con questo dolore. Una donna afghana aggiunge: “Cerchiamo una vita normale, non siamo criminali”.

Molti, tra i superstiti e tra i familiari delle vittime, si scagliano contro il governo italiano paragonandolo al governo dei talebani, sottolineando la pericolosità della rotta turca controllata dai trafficanti di uomini, intoccabili, al riparo nelle loro sontuose ville. Tra i parenti delle vittime, facce stanche, tirate, segnate dal dolore, un’umanità tristemente rassegnata alla sofferenza. “Ora vogliamo solo andare via dall’Italia con i nostri morti” , ci dicono.

Al termine, tutti ringraziano la popolazione e le associazioni presenti per quanto si sta facendo, chiedono che le ricerche in mare non si fermino fino all’individuazione dell’ultimo corpo, dell’ultimo disperso. Mani amorevoli depositano mazzi di fiori sulla battigia.

Al ritorno, verso il parcheggio dei pullman, parliamo con la gente del posto. Sono pescatori, contadini, residenti che hanno voglia di raccontare. I primi ad arrivare sulla spiaggia alle quattro e mezzo del mattino, sono stati tre pescatori immigrati. Hanno sentito le grida in acqua e immediatamente si sono buttati per cercare di salvare più vite possibili. Per poi allineare i corpi nudi e ormai privi di vita sulla spiaggia, mentre i carabinieri dicevano di non toccarli!

Ci raccontano che, dopo la sfilata delle auto blu dei ministri del governo, contestata con il lancio di peluches sopra la scorta, quei signori non hanno trovato neppure il tempo per incontrare i famigliari delle vittime e dei dispersi, non hanno trovato il tempo per visitare le bare al Palazzetto dello Sport di Crotone e neppure di deporre un fiore.

Fuori dal Palamilone di Crotone, all’interno del quale stavano allineate le bare dei naufraghi, c’è stato un sit-in di protesta dei parenti delle vittime, contro la decisione di trasferire i feretri, senza aver chiesto il loro consenso, al cimitero islamico di Borgo Panigale (Bologna), rientrato soltanto dopo le rassicurazioni delle funzionarie del Ministero degli Interni: una ulteriore meschinità per nascondere l’immane tragedia.

Per quanto riguarda le indagini – ci dice un avvocato di Crotone – resta senza indagati e senza ipotesi di reato il fascicolo aperto dalla Procura di Crotone per accertare le responsabilità dei mancati soccorsi da parte della Guardia di Finanza e della Guardia Costiera, dopo la segnalazione di Frontex. Sono stati arrestati quattro presunti scafisti dell’imbarcazione, vittime sacrificali di ben altre responsabilità. I veri responsabili, i veri trafficanti di esseri umani, sappiamo bene chi sono e, a volte, gli diamo pure i soldi per tenersi i migranti”.

E’ sera. Fa freddo. Cerchiamo un posto per mangiare e per riscaldarci. Alle ventidue, si riparte. Ed è un’altra avventura. Ma questa è un’altra storia.

Associazione Verso il Kurdistan
e Rete Kurdistan Italia

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