Continua il ciclo di conferenze “professione reporter…metamorfosi di una professione nel terzo millennio”. Il 15 Novembre è stato il turno di Toni Capuozzo.
Toni Capuozzo, settantatré anni ben portati, madre triestina e padre napoletano dal quale ha ereditato il tipico “scetticismo” partenopeo, ne ha viste tante nella vita. Nel suo rapportarsi con gli studenti scherza e coinvolge la platea che lo segue in Meet, soffermandosi sui tanti particolari delle sue innumerevoli esperienze giornalistiche per le maggiori testate italiane, che si sono realizzate nei grandi teatri di guerra, così come in luoghi sperduti e dimenticati.
Voce conosciuta da chi segue le informazioni televisive, non si vuole considerare un “reporter di guerra” perché ci ha raccontato che, da buon napoletano, non vuole attirare la malasorte su di sé. Con arguzia e ironia ha evocato le innumerevoli difficoltà e i pericoli quotidiani che insorgono quando all’improvviso una situazione si ribalta e “in zone calde” di guerra puoi essere ostaggio anche solo facendo la spesa, di cecchini dii eserciti rivali. I suoi reportage parlano di lotte politiche rivoluzionarie e di lotte religiose, di battaglie chimiche e di battaglie su internet, di guerre tradizionali e di guerre civili. Ciò che però lo ha sempre accompagnato è la fede nel destino: racconta le sue partenze con un bagaglio minimo e con la convinzione di potersela cavare, che anche quella volta non sarebbe “toccato a lui”.
La paura sempre presente lo ha aiutato a non rischiare eccessivamente e, tenendola sotto controllo, ha sempre fatto in modo che essa non diventasse mai panico ma spinta propulsiva per fare al meglio il proprio lavoro e
portare a casa un servizio di cui essere orgogliosi…
La sua fama ha inizio quando nel 1982 viene mandato nella capitale Argentina per raccogliere informazioni sul conflitto delle isole Falkland. Questa brevissima guerra ha interessato la nazione Argentina e quella Anglosassone che si contendevano le piccole isole.
Durante la conferenza Capuozzo ci ha raccontato un’intervista particolare. Durante il suo soggiorno a Buenos Aires cercò in tutti i modi di entrare in contatto con il grande scrittore Argentino Jorge Francisco Luis Borges. Ci ha spiegato la sua preoccupazione prima di questo incontro confessandoci che, ai tempi, non aveva mai letto nulla di questo autore. Si trovò di fronte un uomo semplice, empatico e molto sensibile. Lo colpì la grande fantasia e soprattutto il suo amore per la letteratura anglosassone, nonostante il conflitto in atto, prudentemente lo scrittore non prese nessun tipo di posizione in merito agli accadimenti del momento. Anche raccontando questo incontro la sincerità di Capuozzo è disarmante: lo sguardo indagatore dello scrittore cieco lo ha indotto a confessare di non aver preparato da solo le domande da fare. Borges rispose che ”Le domande sono come i figli: esistono nonostante chi le ha create, hanno vita propria”.
La simpatia del giornalista è palpabile e sa rapportarsi con il suo giovane pubblico, anche a noi sarebbe piaciuto porre decine e decine di domande soprattutto su ciò che si prova di fronte all’orrore della guerra, alla paura di non poter tornare a casa, alla disperazione di intere popolazioni inermi… tuttavia il tempo è volato in fretta e, in chiusura, ad una domanda sul premio più apprezzato ci risponde che l’unico premio così importante da determinare una svolta nella sua vita è stato un riconoscimento non giornalistico: un concorso letterario che lo ha fatto arrivare primo. Lui che era un enfant terrible, terrore degli insegnanti, quel premio gli ha indicato la strada da intraprendere. Per il resto non si considera un “giornalista da premiare” ma semplicemente un buon reporter: che scrive per essere compreso da tutti, soprattutto dalle persone meno colte ma senza risultare banale agli occhi dei più istruiti.
Merolli Giorgia
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