Si è concluso il progetto “Professione Reporter”

L’ultimo incontro è stato con Alberto Torregiani, rimasto gravemente ferito e costretto sulla sedia a rotelle nell’attentato nel quale ha perso la vita il padre Pierluigi.

Andrea Borelli apre l’incontro con Alberto Torregiani proiettando l’incipit del film “Ero in guerra ma non lo sapevo”, in cui il gioielliere Pierluigi Torregiani cerca di convincere la banca a fornirgli un prestito per aprire un secondo negozio. Egli racconta del suo tumore, della sua rivincita contro gli ostacoli della vita e dell’adozione dei suoi tre figli parlando di un meccanismo di pesi e contrappesi, che lui promette di saper far perfettamente funzionare. Quando l’impiegato di banca gli chiede cosa farebbe se il meccanismo si inceppasse, Torregiani risponde che lui, anche in quel caso, lo aggiusterebbe. Questa ellissi si rivelerà tuttavia falsa man mano che il film procede e viene definitivamente smentita con l’omicidio del gioielliere, dimostrando che di fatto quel sistema da lui citato non sempre funziona.

Il film prende spunto dall’omonimo libro autobiografico di Alberto Torregiani, uno dei tre figli adottivi del gioielliere Pierluigi Torregiani, rimasto gravemente ferito e costretto sulla sedia a rotelle nell’attentato nel quale ha perso la vita il padre. L’autore ci racconta come gli anni di piombo abbiano segnato per sempre la sua vita. Egli, innanzitutto, confessa di averci messo vent’anni a far uscire la verità, perché all’epoca il fatto era stato deformato da dati e titoli gonfiati dalle diverse testate come quelli della Notte o della Repubblica, in cui suo padre veniva dipinto come un giustiziere.

Viene infatti mostrata una scena del film in cui il gioielliere e sua figlia Marisa sono vittime di una rapina in un ristorante, insieme a colleghi e amici: i rapinatori puntano la pistola contro Marisa e a quel punto Pierluigi reagisce, e dà lì verrà identificato come un “orgoglioso” che vuole farsi giustizia da solo. Torregiani ci fornisce il contesto della Milano degli anni di piombo: la paura che rendeva impossibile la vita dei cittadini; la concreta e fisica, dunque violenta, lotta di classe. La sua famiglia si è trovata col telefono sotto controllo e la scorta che li seguiva passo per passo, senza potersi difendere né ribellare. Torregiani parla di “un’anima di terrore”, che aleggiava sulla comunità intera: la violenza era la sua matrice, una violenza che non ha mai portato nulla se non disastri. L’unico modo che lui ha trovato per ribellarsi e riuscire ad andare oltre è stata trovare la propria verità e raccontarla, aggrapparsi a essa per farsi forza. Torregiani comprende, ma non concorda con il modus operandi dei gruppi violenti, che seminavano terrore solo per avere ragione, e al momento in cui un giornalista gli chiede se ha mai provato desiderio di vendetta, egli risponde esprimendo tutta la rabbia che ha provato in quegli anni, tutta la frustrazione di “essere di legno”, ossia rimanere costretto a letto e poi finire in riabilitazione. Dopo anni di processi e di convivenza con un trauma che ha lasciato i suoi segni sia nella memoria che sul corpo, egli è riuscito a riprendere in mano la sua vita, ma ha potuto contare solo su stesso, sulla sua voglia di farcela.

A questa dichiarazione di coraggio e di determinazione, segue la devastante scena clou del film: Pierluigi Torregiani tenta di difendersi dagli aggressori, sparando, ma colpisce il figlio Alberto rendendolo paraplegico. Da quel momento, nulla fu più lo stesso per il ragazzo appena quindicenne, che di strada ne ha dovuta fare da allora per arrivare dov’è ora. Egli ha voluto raccontare la verità di tutti coloro che sono entrati nello stesso baratro psicologico in cui si è ritrovato lui, come sua sorella Marisa, anche lei presente durante l’omicidio del padre, o l’altra sorella Anna o ancora la madre Elena. Tutti sono arrabbiati, tutti sono frustrati, tutti sono rancorosi, tutti rimuginano sul fatto che avrebbero potuto fare qualcosa, cambiare le cose: questa è la convinzione di tutti, che Alberto incarna e riporta nella sua biografia. Egli trae la sua forza della sua individualità: ogni giorno della sua vita, come tutti noi, ha dovuto affrontare le sue difficoltà, ma, d’altronde, chi poteva superarle se non lui stesso? Chi poteva aiutarlo, se non lui stesso? Dalla sua traumatica esperienza di vita, egli non vuole trarre insegnamenti, ma forza: essa è stata la base per l’inizio del suo percorso. Egli ha scelto di non abbassare la testa, di guardare ancora avanti; egli non ha scelto di vivere ciò che ha vissuto, ma ha scelto di continuare a vivere nonostante tutto, di parlare, di mettersi a nudo, per sé stesso e per qualcosa di più grande di lui e di tutti noi.

A cura di Lucrezia Teti
I.I.S. G. Marconi Tortona – 3AR – Amministrazione Finanza e Marketing

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