Volpedo – Gli Itinerari urbani alla scoperta di Giuseppe Pellizza

Volpedo, il borgo in Val Curone che ha dato i natali al pittore divisionista Giuseppe Pellizza, offre ai suoi visitatori la possibilità di percorrere un itinerario urbano lungo il quale sono state posizionate 18 riproduzioni in grande formato dei suoi quadri, nel luogo esatto in cui sono stati dipinti.




Visitare in autonomia il Borgo di Volpedo

Musei Pellizza da Volpedo gigantografie dei quadri di Giuseppe Pellizza

Uno dei lavori più interessanti che caratterizzano i Musei Pellizza da Volpedo sono le riproduzioni in grande formato di opere del pittore, sistemate lungo le vie di Volpedo, nel luogo esatto in cui sono state dipinte.

Il lavoro è stato ispirato e reso possibile dall’uso di molti toponimi che il Pellizza ha usato per dare il titolo ai suoi quadri e, anche, grazie al lavoro parallelo di Don Crispino Guerrail fotografo di Volpedo”, che in molte foto ritrae il pittore all’opera.

Oggi sono presenti diciotto postazioni in cui è possibile vivere la suggestiva esperienza di poter confrontare il paesaggio raffigurato nel quadro più di un secolo fa con quello odierno.

Ringrazio l’Associazione Pellizza da Volpedo per avermi reso disponibile il materiale che qui pubblico. L’occasione è stata quella delle Invasioni digitali del 28 aprile 2018 (QUI il programma).

Credo che possa essere utile a tutti coloro che vogliano fare una gita in autonomia al borgo di Volpedo, in Val Curone.

Chi volesse invece approfittare della possibilità di usufruire di una visita guidata trova tutte le informazioni necessarie sul sito dell’Associazione.

1 – PAESAGGIO: PIAZZA MALASPINA A VOLPEDO

G. Pellizza da Volpedo, 1892, olio su tela, 42,8×80,7 cm  – Collezione privata

Il dipinto documenta il lavoro di attento e scrupoloso studio del vero compiuto da Pellizza in preparazione al suo quadro ispirato a un tema di protesta sociale, ideato fin dai primi anni novanta. Lo studio isolato del paesaggio – che rivela la fissazione precisa di un momento della giornata abbastanza prossimo al mezzogiorno – sembra voler mettere a fuoco con esattezza il luogo teatrale, la scena prescelta per la rappresentazione, in modo da poter poi comporre senza problemi i raggruppamenti e le posizioni dei protagonisti. Dall’incastro fra questa unità compositiva e il gruppo dei protagonisti nasceranno tutte le successive variazioni del soggetto fino al definitivo Quarto Stato (1901). Si legge in una pagina di diario di Pellizza del 1892: …questa piazzetta in cui è il palazzo del Signore – il palazzo è dietro lo spettatore manda la sua ombra sul primo piano del quadro- potrei fare l’ombra d’un palazzo merlato sebbene il palazzo della Marchesa non lo sia – la piazzetta teatro dell’azione è la piazzetta del Palazzo e la via per la quale s’avvicinano i contadini è la via Torraglio qui di Volpedo…
Pellizza da Volpedo: catalogo generale, a cura di Aurora Scotti, Milano 1986, scheda 704

2 – IL QUARTO STATO

G. Pellizza da Volpedo, 1901, olio su tela, 293×545 cm  – Milano, Civica Galleria d’Arte Moderna (acquistato nel 1920 per sottoscrizione pubblica)

Pellizza incominciò a lavorare a questa nuova tela sulla problematica sociale nel 1898: la intitolava allora Il cammino dei lavoratori, titolo mutato poi nel 1901 in Il Quarto Stato. Insoddisfatto dei risultati raggiunti nel pur impegnativo Fiumana (1895-96), l’artista aveva ripreso nel 1897 ad eseguire cartoni e disegni sia per il paesaggio sia per i personaggi, procedendo in modo tale da passare da una rappresentazione di folla premente indistintamente sul primo piano ad una visione formale più chiara, dai ritmi compositivi improntati a maggiore solidità ed oggettività. L’operazione richiedeva un coraggio non comune, perchè si trattava di mettere da parte un lavoro di anni ed un esborso di energie non indifferente, ma Pellizza non ebbe esitazioni e ripensò completamente tutta la composizione. Egli passò dunque dalla descrizione di un momento di protesta sociale con l’irruenza ed il dinamismo connessi con l’idea di Fiumana, alla ferma decisione di esaltare il popolo lavoratore nella sua globalità, nella consapevolezza piena della propria forza, maturo per pretendere un futuro di dignità ed un lavoro giustamente remunerato anche grazie alla propria elevazione morale e culturale: Tre anni or sono, io ero un socialista in buona fede: che vuoi? La miseria del proletariato mi commuoveva. Maturando le idee e pensando ai fatti di Milano [la repressione ordinata dal generale Bava Beccaris nel 1898], entrai invece in questa convinzione che desidero esplicare con questo gran quadro: – I lavoratori sani, che spirano una fermezza buona di carattere dalla faccia robusta, dalla nerboruta persona, hanno essi pure il loro fatale andare. L’età dell’oro, quando tutti, si narra, stavano molto bene, è però una bella età che si perde nel buio dei secoli e di cui il quadro accenna con un raggio di sole che splende su una vetta, nello sfondo del quadro. Ma il lavoratore diventa, in seguito schiavo nell’età greco-romana, e tu vedi qui il cielo rannuvolarsi vedi poi una tetra nube incombere quasi sulla campagna, segno dell’età di mezzo, assai malagevole per il lavoratore: vedi quindi un sereno azzurro, simbolo de’ tempi che seguirono l’ottantanove. La massa dei lavoratori che va via via ingrossandosi procede serena, fiduciosa in suo cammino nelle ora tarde del mattino, non ancor però sul meriggio: il meriggio verrà dopo per lei, in cui essa coglierà il frutto del suo lavoro, e, libera dagli affari andrà a godere il bianco pane fragrante su la mensa apparecchiata. L’opera, presentata a Torino suscitò varie reazioni critiche, e molti furono sconcertati dalla sua rappresentazione dei lavoratori. Sconcertava soprattutto la rinuncia a gesti o a moti violenti e scomposti e pochi capirono che Pellizza aveva presentato l’avanzarsi sicuro ed ineluttabile di una nuova forza, di una nuova classe che univa alla perfezione fisica la sicurezza e la certezza che nascevano da una profonda consapevolezza del proprio ruolo storico e da una lenta maturazione intellettuale. L’artista che aveva presentato se stesso a Venezia nel 1899 come filosofo e pensatore, aveva portato a Torino il frutto della sua riflessione filosofica, dando forma ad un quadro in cui il popolo aveva la compiutezza e la equilibrata serenità e positività delle concezioni classiche: Il Quarto Stato potè essere quale io lo volli; un quadro sociale rappresentante il fatto più saliente dell’epoca nostra; l’avanzarsi fatale dei lavoratori…
Pellizza da Volpedo: catalogo generale, a cura di Aurora Scotti, Milano 1986, scheda 1088

3 – IL MORTICINO ovvero FIORE RECISO

Pellizza da Volpedo, 1903-1906, olio su tela, 79,5 x 107 cm – Parigi, Musée d’Orsay

La tela rappresenta l’evento drammatico della morte di un bambino, reso attraverso un sottile simbolismo: la composizione ha come fulcro la piccola bara bianca che fanciulle biancovestite accompagnano al camposanto, seguite da una fila di bambini visti in controluce, con le vesti a toni dominanti di verdi e di rossi che contrastano con i bianchi degli abiti femminili. Il feretro è il vero punto nodale della composizione e attrae l’attenzione dello spettatore, acceso com’è di un bianco luminosissimo rialzato da filettature di giallo, arancio, verde e blu. Il piccolo fiore è stato definitivamente reciso ma la natura, col suo rigoglio, e i bambini che camminano in primo piano, simbolo di speranza e di futuro, stanno a dimostrare che la vita non si è interrotta. La solennità con cui sono costruite le figure, il rigore con cui è impostata la composizione e la cornice naturalistica elevano l’opera dal patetismo e dal sentimentalismo che un tema simile poteva facilmente suggerire.

Pellizza da Volpedo: catalogo generale, a cura di Aurora Scotti, Milano 1986, scheda 1123

4 – LA PROCESSIONE

G. Pellizza da Volpedo, 1895, olio su tela, 84×155 cm  – Milano, Museo della Scienza e della Tecnica (collezione Rossi)

Il soggetto, tratto dal vero, è ambientato nei pressi della casa dell’artista, verso il viale che porta al cimitero, e si ricollega a un filone della pittura europea attento a documentare usi e costumi popolari. Ma Pellizza sviluppa il tema privilegiando più che gli aspetti anedottici o descrittivi il rapporto di pacata armonia tra uomo e natura, come lui stesso scrive nel 1897: Fu il viale ombrato dai pioppi che fè sorgere in me l’idea della Processione perchè appunto mi pareva che niun altro soggetto sarebbe stato più adatto in quel luogo in quell’ora… è questo il primo quadro che feci col sistema di pittura a divisione: incominciato nel 1892 non mi fu dato terminarlo che per la prima internazionale di Venezia [del 1895]: volendo compulsare la natura direttamente non vi lavorai che pochi mesi all’anno. …Il divisionismo non mira che ad una rivoluzione tecnica consistente semplicemente nel sostituire a colori mescolati colori divisi perchè in tal modo noi seguaci di esso crediamo di poter avvicinare le vibrazioni della luce…
Pellizza da Volpedo: catalogo generale, a cura di Aurora Scotti, Milano 1986, scheda 895

5 – SUL FIENILE

G. Pellizza da Volpedo, 1895, olio su tela, 133×243,5 cm  – Collezione privata

Preparato a lungo nel corso del 1892, Sul fienile fu eseguito nel corso del 1893 ed esposto a Milano nel 1894, ma poi ancora ripreso nel 1895. Insieme al quasi contemporaneo Processione, fu il primo quadro in cui Pellizza cercò di applicare meticolosamente il divisionismo. Ambientato nel vecchio portico di casa, Sul fienile rivela una scrupolosa attenzione al vero. Il pittore stesso, consapevole dell’importanza rivestita da questa opera nel suo iter creativo, la indicò come il vero e proprio inizio di una sua nuova fase pittorica, attenta ai temi sociali e capace di instaurare un più stringente rapporto col vero grazie all’utilizzo della nuova tecnica. Poteva così comunicare efficacemente con tecniche nuove e scientificamente esatte il suo modo di sentire e di porsi nei confronti del vero, attraverso la rappresentazione del …contrasto eterno tra la vita e la morte… un figlio della gleba che partito da casa per guadagnare con marra e piccone il pane per la sua famiglia si riduce lontano da essa a morire sul fienile – il sacerdote gli somministra il viatico… La medaglia d’oro vinta a Monaco nel 1901 confermò a Pellizza la fiducia in questa sua opera.
Pellizza da Volpedo: catalogo generale, a cura di Aurora Scotti, Milano 1986, scheda 799

Sul fienile (fotografia): Il fienile di Pellizza in una fotografia scattata da Ugo Ojetti nel 1908 (per gentile concessione della Biblioteca Centrale di Firenze, Fondo e Archivio fotografico Ojetti)

6 – MAMMINE

Pellizza da Volpedo, 1892, olio su tela, 213 x 203 cm – Collezione privata

Il dipinto riassume in modo emblematico lo studio dal vero sulla natura, sul lavoro e sull’uomo, condotto dal pittore nel periodo di intensa e puntuale formazione degli anni giovanili. Ispirato ad un soggetto di genere di quotidiana vita campestre, rappresenta un prato scintillante sotto la luce viva del sole, su cui si stagliano nette le figure di ragazzine con bambini, in vibranti controluce. Anche lo sfondo, in articolata struttura spaziale segnata dai tronchi d’albero, e la chiusura del campo con un alto muretto nella parte destra riconducono ai molti bozzetti dal vero fatti nei dintorni di casa Pellizza nel corso del 1890-91. Lo sfondo è occupato da episodi di lavori campestri; in primo piano domina la scena, certo di genere ma immune da qualsiasi bozzettismo, delle fanciulle che fanno da mamma ai fratellini, disposte secondo una composizione piramidale. L’apparente semplicità del tema lascia il posto ad una sapiente costruzione dell’immagine, tanto da far guadagnare al pittore i primi riconoscimenti importanti: la medaglia d’oro e il plauso della critica all’esposizione italo-americana di Genova del 1892. Venduta in Russia nel 1898, la tela ricompare in un’asta londinese del 1980.

Pellizza da Volpedo: Catalogo Generale, a cura di Aurora Scotti, Milano, 1986 scheda 756  

7 – IDILLIO PRIMAVERILE

Pellizza da Volpedo, 1896-1901, olio su tela, diametro 99,5 cm – Collezione privata

Idillio primaverile fu il primo di una serie di cinque tele in tondo che, sotto il comune titolo di Idilli, dovevano sviluppare il tema dell’amore, una problematica elaborata in stretta relazione colle suggestioni idealiste e quattrocentiste maturate in un ambiente sensibile alle tematiche preraffaellite come quello fiorentino che Pellizza aveva frequentato tra 1893 e 1896, legandosi d’amicizia coi poeti e letterati che fondaono la rivista “Il Marzocco”, da Domenico Tumiati per cui realizzò anche il disegno di copertina per il volume di versi dal titolo “Iris fiorentina”, ad Angelo Orvieto a Pier Ludovico Occhini. La tela fu iniziata nel 1896 ma l’opera fu conclusa solo nel 1901, e fu esposta per la prima volta alla V Biennale di Venezia del 1903. Dopo il Glaspalast di Monaco nel 1904 e l’esposizione di Angers nel 1905, Pellizza volle inviare la tela a Roma alla mostra dell’Associazione amatori e cultori di Belle Arti nel 1906, in coincidenza col suo soggiorno nella capitale e lì lo vendette ad un negoziante di Amsterdam: l’opera era stata notificata al prezzo di lire 1900. La vendita e l’uscita dall’Italia fece dimenticare la tela alla critica successiva che conosceva solo il quadro dal titolo Il girotondo – una ripresa tarda dello stesso tema – acquistato nel 1920 dalla Galleria d’arte moderna di Milano. La tela è ricomparsa sul mercato antiquario londinese, dopo essere stato per almeno quarant’anni in una dimora privata inglese, nel 1980, sulla scia del successo internazionale della mostra Postimpressionism che aveva riproposto la figura di Pellizza come uno dei protagonisti della pittura italiana tra Otto e Novecento.

La scena è ambientata nel prato adiacente a casa Pellizza: la profondità dello spazio è cadenzata dagli alberi, prima di distendersi nel paesaggio di fondo, ma fra tutti spicca per evidenza e dimensioni quello centrale, in primo piano che offre si sviluppa con uno studiatissimo intreccio di rami, che rielabora un probabile spunto naturale in ben articolati ritmi curvilinei, capaci di sintetizzare il moto circolare presente nei gruppi di bimbi, nel girotondo alle spalle dell’albero e nella coppia in primo piano col fanciullo che incorona la compagna. Tutta la costruzione si rivela accuratamente studiata, riprendendo le complesse relazioni che tra Quattrocento e primo Cinquecento avevano suggerito agli artisti soprattutto fiorentini (da Botticelli a Lippi ma anche a Raffaello, tutti studiatissimi da Pellizza) delle armoniose composizioni circolari. Pellizza si serve del loro modello per operare un accurato montaggio di motivi lungamente studiati e rielaborandoli compositivamente per rendere convincente il passaggio dalla una serena veduta naturalistica ad una raffinata concezione simbolista capace di alludere al mistero dell’origine della vita trasfigurando la realtà in una sapiente armonia lineare e luminosa. L’albero nelle sue contorte strutture ricorda le complesse articolazioni degli alberi della vita di antica tradizione medioevale e riproposti dalla pittura ottocentesca e studiati anche da Segantini; la sua presenza media fra il primo piano in ombra e la iridescente luminosità del fondo creando un diaframma fra l’incoronazione della fanciulla e il ritmico girotondo sul prato. L’insistenza sui rami, ancora quasi tutti spogli, contrasta con la più avanzata fioritura delle piante sul fondo, in precisa allusione al rigenerarsi continuo della vita nella natura. Il delicato controluce, la picchiettatura di pennellate luminose sul prato, le vibrazioni di contorni attorno alle figurine alludono ad un evento che è insieme di rinascita fisica ma anche emozionale e psicologica, di vita che sboccia e riprende.

Pellizza da Volpedo. Catalogo generale, a cura di Aurora Scotti, Milano 1986, scheda 1079

8 – PANNI AL SOLE

G. Pellizza da Volpedo, olio su tela, 87×131 cm  – Collezione privata

Il soggetto si ricollega agli studi svolti nel prato posto tra la casa del pittore e la pieve, con protagonisti bambini, donne e panni stesi, a partire dalle molteplici variazioni sul tema di Biancheria al sole. La scelta dei colori dimostra che Pellizza cercava di appropriarsi della tecnica divisionista scomponendo puntualmente la propria tavolozza e distribuendo in ogni parte il colore soltanto attraverso punti, linee o tacche. Si tratta quindi di uno studio estremamente accurato, anche se lasciato incompiuto (per questo è possibile leggere qualche traccia della costruzione tracciata a matita sulla tela), e la sua elaborazione va collocata attorno al 1894-95, proprio negli anni in cui Pellizza cercava di impadronirsi compiutamente della tecnica divisionista. Panni al sole costituisce uno dei più affascinanti capolavori del nostro Ottocento, in cui la solarità della luce chiara e limpida sottolinea la ritmica sequenza dei tronchi d’albero che graduano la profondità del campo visivo accompagnato dalle bianche lenzuola stese che generano le larghe zone d’ombra verde sul lungo viale. Non a caso questa è una delle poche opere del nostro divisionismo ad aver retto in varie occasioni il confronto internazionale con prodotti neo-impressionisti.
Pellizza da Volpedo: catalogo generale, a cura di Aurora Scotti, Milano 1986, scheda 899

9 VOLPEDO SOTTO LA NEVE

G. Pellizza da Volpedo, 1890, olio su tela, 35×29,7 cm  – Collezione privata

La datazione non dovrebbe essere posteriore al 1890, rivelando, con più maturo equilibrio spaziale e cromatico, problematiche compositive presenti in Neve sui tetti. La composizione si svolge su più piani di profondità e una sequenza di alberi spogli coi rami secchi media il rapporto tra il primo piano segnato dalla soglia nevosa e lo sfondo del paese di Volpedo con il campanile della parrocchiale dominante al centro. La gamma armonica è imperniata soprattutto su bianchi e grigi in delicate sfumature. L’ambientazione è quella famigliare all’artista, non lontano dal prato di casa e confinante con lo spazio della pieve.
Pellizza da Volpedo: catalogo generale, a cura di Aurora Scotti, Milano 1986, scheda 544

10 – MEMBRA STANCHE o FAMIGLIA DI EMIGRANTI

Pellizza da Volpedo, 1903-1906, olio su tela, 127 x 164 cm – Collezione privata

È una delle opere di più complessa elaborazione, la cui prima idea risale ad uno schizzo del 1894. Sviluppata in una serie di disegni e di bozzetti, rappresenta – come dice testualmente Pellizza – “la tappa presso Volpedo di una famiglia che ritorna all’Appennino dalle risaie lomelline”. Fino al 1903, come testimonia il bel cartone preparatorio, l’immagine in primo piano della famiglia di lavoratori in riposo era inquadrata nella valle del Curone e chiusa sullo sfondo dal profilo dolce delle colline. Pellizza ridefinì il limite di fondo del quadro dopo il viaggio in Engadina, sui luoghi segantiniani, del 1906, quando poté studiare quelle vette dentate ben stagliate sul cielo che da Volpedo aveva più volte vagheggiato. La barriera sul fondo non priva la vallata in primo piano della sua profondità, solcata in diagonale dalle lucenti acque del Curone ed, anzi, con i suoi toni azzurrati, permette di meglio apprezzare le intensità violacee dominanti nella valle e il riverbero del sole al tramonto. Le figure in primo piano, isolate nei propri sentimenti e nel loro atteggiamento ben calibrato e bloccato, vivono di un’assolutezza che le eleva da qualsiasi cedimento patetico. Il quadro risulta sapientemente costruito con tre elementi diversi: il gruppo di figure, la valle volpedese del Curone e la catena alpina. Tale orchestrazione sposta un episodio di quotidianità in una dimensione universale capace di raccordare in una sintesi equilibrata e perfetta l’armonia del rapporto uomo-natura.

Pellizza da Volpedo: Catalogo Generale, a cura di Aurora Scotti, Milano, 1986, scheda 1347

Membra stanche (fotografia): Pellizza dipinge Membra stanche, dallo slargo antistante il ponte sul Curone (sponda di Monleale); (foto Archivio Pellizza, Volpedo)

11 – IL SOLE, ovvero IL SOLE NASCENTE

G. Pellizza da Volpedo, 1904, olio su tela, 155×155 cm – Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna (dal 1906)

Scrivendo all’amico Occhini nell’aprile 1903 Pellizza delineò per la prima volta il tema di questo suo quadro, precisando di voler scegliere soggetti eterni, e quindi di voler trattare la bella natura che assorbe l’uomo e lo annienta per campeggiare essa stessa sfolgorando la sua immortale bellezza… Tu devi già aver indovinato il mio tema… L’intenso desiderio di tradurre sulla tela gli spettacoli più emozionanti della natura lo spingeva a salire, ancora in piena notte, le alture circostanti Monleale – il paese visibile alto sulla collina dalla “rotonda” delle vecchie mura -, per attendere, pronto davanti al suo cavalletto, l’apparire sfolgorante del sole. Si deve a Primo Levi una acuta interpretazione del dipinto: Bisogna infine volgersi a Pellizza da Volpedo per sentirsi illuminati da un sole che sembri davvero quello dell’avvenire: con la frase coglieva quel profondo senso di rigenerazione e di rinascita di tutte le cose che Pellizza aveva avuto di mira nel riprodurre il momento di massimo fulgore della natura, facendo del sole nascente, dell’alba di un nuovo giorno, anche l’alba di un nuovo secolo. Il motivo naturalistico del sole nascente incarna così profondamente la volontà simbolista di Pellizza.
Pellizza da Volpedo: catalogo generale, a cura di Aurora Scotti, Milano 1986, scheda 1188

12 – LA PIAZZA DI VOLPEDO

Pellizza da Volpedo, 1888, olio su tela, 78×96 cm – Collezione privata

L’opera fu elaborata a Volpedo nel 1888 come prova la data segnata in basso a sinistra e il particolare taglio dell’immagine che presenta una stimolante rimeditazione degli esempi macchiaioli. La tela traduce inoltre i propositi preannunciati al maestro Fattori fin dal 27 febbraio, quando, confessandogli di desiderare di tornare presto a casa per Pasqua, Pellizza dice d’aver intenzione di far studi grandi di paesaggio. La veduta presenta tutti gli edifici ancor oggi esistenti (sia pure con modifiche) sulla piazza di Volpedo, escludendo il palazzo Municipale, in una gamma che passa dal giallo-rosato all’arancio, dal verde all’azzurro intenso del cielo e che esalta, nel nitido incastro dei piani, l’ampiezza dello spazio. La visione è resa più assoluta ed essenziale dalla mancanza di figure e di notazioni di genere, poichè il grano steso davanti all’edificio di destra ha valore di nota cromatica più che di descrizione di una abitudine contadina.
Pellizza da Volpedo: catalogo generale, a cura di Aurora Scotti, Milano 1986, scheda 400

La piazza di Volpedo (fotografia): La piazza di Volpedo in uno scatto dei primi anni del Novecento (foto Archivio famiglia Guerra, Volpedo)

13 – LO SPECCHIO DELLA VITA

G. Pellizza da Volpedo, 1898, olio su tela, 1327×291 cm – Torino, Galleria d’Arte Moderna (dal 1930)

L’opera – che riesce a riflettere il destino dell’uomo e significati universali in un brano di natura pur privo di ogni presenza umana, ed è ambientata sul greto del Curone, non distante da casa Pellizza – è ispirata al verso dantesco “E ciò che l’una fa, e l’altre fanno” (Purgatorio, canto III, 82). Assoluto è l’equilibrio fra le opposte forze rappresentate nella tela: l’incontro fra luce ed ombra, fra linee rette e linee ondulate, fra ritmico avanzare delle pecore e stasi assoluta della natura, fissata in una cristallina stesura di colori. La fattura è a divisionismo estremamente sapiente, con stesura del colore puro a piccoli punti e tratti non molto appariscente, con qualche affinità con la contemporanea tecnica di Morbelli ma anche con ricerche di effetti di rifrazione nell’azzurro del cielo. Nessuna tonalità cromatica è in esso dominante, se non una grande ed accesa intensità di luce chiara e cristallina. L’equilibrio compositivo è assoluto: la linea orizzontale dell’argine viene ribadita e replicata dalla sequenza di pecore che giunge esattamente a metà dell’altezza della tela; a questa linea convergono, pur senza toccarla direttamente, le pozze d’acqua in primo piano, mentre essa sembra ribadita dall’ampia pianura retrostante a cui convergono le morbide linee dei colli e delle macchie d’alberi.
Pellizza da Volpedo: catalogo generale, a cura di Aurora Scotti, Milano 1986, scheda 1002

14 – STRADA NUOVA A VOLPEDO ovvero VIA A VOLPEDO

Pellizza da Volpedo, 1903, olio su tela, 62,7×46,4 cm – Bari, Pinacoteca Provinciale

Il vecchio abitato di Volpedo era delimitato dalla cinta muraria che fiancheggiava il castello un tempo dei Malaspina; a metà ottocento il castello si era trasformato in un elegante palazzo signorile, con la costruzione di una decorosa facciata sulla piazza del Torraglio. L’abbattimento delle mura favorì la relazione del paese col suo circondario collocato ad un livello leggermente più basso, tanto che il palazzo potè essere collegato al giardino con una passerella che passava sopra la strada realizzata a ridosso delle antico confine. Pellizza incominciò a studiare la nuova strada che costeggia palazzo Malaspìna a Volpedo, caratterizzata dalla presenza del sovrappasso di raccordo col giardino e destinata a mettere in relazione diretta il Torraglio con la piazza del mulino, fin dal 1898, proprio l’anno in cui aveva incominciato a dipingere Il Quarto Stato  sulla piazza davanti all’ingresso del palazzo stesso. L’inquadratura della via fra i muri  che delimitano le proprietà Malaspina, col suo tracciato in leggera discesa, su cui si proiettano le ombre della ricca vegetazione del giardino,  interessò a più riprese il pittore il pittore che ne colse le valenze luminose in un piccolo disegno a pastello datato 9 maggio 1898 e, successivamente in  uno schizzo a matita del 9 marzo 1900, dedicandosi poi, una volta terminato nel 1901 Il Quarto stato, a perfezionare un più ampio studio a carboncino della piazza Malaspina all’imbocco della Strada Nuova, e poi in più stretta contiguità con la tela definitiva un nuovo piccolo disegno a matita, un bozzetto ad olio ed ancora un grande disegno a carboncino.

Particolarmente interessanti sono le tonalità dominanti nella fitta chioma degli alberi, a verdi di varia intensità con sfumature in giallo; in altre parti della tela dominano invece toni delicati di base color ocra con piccole pennellate di verdi e blu e tocchi di aranciato e rosa, che puntano alla applicazione più libera della tecnica divisionista ed utilizzando anche le fregature del retro del pennello per rendere più dinamico l’effetto cromatico. I due grandi studi a carboncino e la tela definitiva chiariscono l’impegno del pittore nell’elaborare la veduta puntando sulla contrapposizione fra luci ed ombre secondo una tendenza che Pellizza confermà anche nel 1904 in due tele realizzate nella piazza in fondo alla strada nuova, Vecchio mulino a Volpedo e Pontecastello, che ci conservano una vivace testimonianza di una Volpedo scomparsa.

Pellizza da Volpedo. Catalogo generale, a cura di Aurora Scotti, Milano 1986, scheda 1124

15 – VECCHIO MULINO A VOLPEDO

Pellizza da Volpedo, 1903, olio su tela, 44,5×64 cm Collezione privata

Il mulino mosso dalle acque della roggia Ligozzo era situato al tempo di Pellizza nella piazza Perino all’imbocco dell’attuale via Mazzini; fu abbattuto negli agli anni venti del secolo scorso, quand’era ormai inattivo, e il corso d’acqua venne deviato fuori dal centro abitato.

La tela di Pellizza costituisce l’unica testimonianza iconografica rimastaci dell’intero complesso. In essa colpisce la netta scansione dei piani, ottenuta sia con il sapiente incastro delle forme architettoniche del grande mulino e delle case adiacenti, sia con la lunga ombra che si proietta in primo piano a marcare con più forza l’ampiezza e la profondità della strada. Non è improbabile che Pellizza avesse impostato il quadro agli inizi del Novecento, quando aveva incominciato ad interessarsi allo studio delle chiuse e degli incastri delle condotte d’acqua e, accanto a temi ricchi di suggestioni simboliste o letterarie, tornava a trattare alcuni scorci ambientali di Volpedo e del suo territorio, puntando su forme articolate in sintesi geometriche, quali aveva praticato nel periodo iniziale di sperimentazione della tecnica divisionista. In questo caso al divisionismo applicato rigorosamente sullo sfondo fa riscontro un più libero modo di trattare il primo piano con tonalità cromatiche ocra-rosate e con stesura più mossa e libera, tale da far ipotizzare un vago influsso di gamme impressioniste, quali Pellizza aveva potuto vedere nei Monet esposti alla Centennale di Parigi nel 1900 e nelle tele del Luxembourg.

Pellizza da Volpedo. Catalogo generale, a cura di Aurora Scotti, Milano 1986, scheda 1130

Vecchio mulino (fotografia): Piazza Perino in una foto scattata dallo stesso Pellizza e presa dal palazzo municipale. Al centro e sullo sfondo della piazza, allora occupata dal foro boario e dal peso pubblico, si nota la sagoma del “Vecchio mulino”, o “Mulino grosso”, visto dalla prospettiva opposta rispetto a quella del dipinto. (foto Archivio Pellizza, Volpedo)

16 – SPERANZE DELUSE

G. Pellizza da Volpedo, 1894, olio su tela, 110×170 cm – Collezione privata

Il motivo trattato è quello della pastorella addolorata per l’abbandono da parte dell’innamorato che, sullo sfondo, conduce in sposa un’altra donna, mentre due musici fanno strada al piccolo corteo. Il dolore della pastorella, già rilevato dalla posa accasciata sul rastrello, si muta però in elemento strutturante della composizione pittorica grazie alla scelta formale di individuare nella sua figura il perno di un triangolo, i cui lati toccano le pecore e la gerla al suo fianco. In quest’opera Pellizza riprende l’inquadratura e il tema del precedente La tradita, realizzato sul Prato Cassanini e condotto senza uso della tecnica a colori divisi. Lo stacco tra La tradita e Speranze deluse rappresenta dunque una testimonianza del passaggio – avvenuto nel corso del 1892 – alla tecnica divisionista. Proprio “prato Cassanini” viene denominata, in una mappa comunale del 1910 circa, la porzione di terreno corrispondente all’attuale palazzina a tre piani ai numeri civici dal 3 all’11 di via Mazzini. Il muretto posto di fronte alla palazzina – a destra di chi guarda oggi e visibile sullo sfondo del dipinto – e che seguiva il corso della roggia che fluiva verso il mulino allora posto in piazza Perino, rende riconoscibile ancora oggi il luogo.
Pellizza da Volpedo: catalogo generale, a cura di Aurora Scotti, Milano 1986, schede 708 e 842

17 PONTECASTELLO

Pellizza da Volpedo, 1904, olio su tela, 53×74 cm – Collezione privata

L’area di Pontecastello ritratta da Pellizza, sebbene mantenga ancor oggi l’antica denominazione, sarebbe ormai del tutto irriconoscibile, se non fosse per l’inconfondibile profilo del Poggio sullo sfondo: il corso della roggia Ligozzo che andava a muovere le ruote del mulino in piazza Perino è stato da tempo deviato e coperto, il ponticello è stato eliminato e la caratteristica casa con la torretta è oggi celata alla vista dalla mole del giolittiano edificio scolastico.

La veduta di paese si caratterizza per l’impianto rigorosamente geometrizzato, messo in risalto da forti e decisi contrasti di luce e d’ombra. Eppure, nonostante tale determinazione di valori contrapposti, il risultato pittorico è d’effetto molto morbido e caldo, soprattutto grazie alla stesura delle parti in luce fatta con tocchi non geometrizzati di toni aranciati, bianchi, rosa, con riflessi verdastri a sottolineare alcune parti in ombra. Le zone a colore più scuro sono quelle che presentano con maggiore evidenza la tecnica a divisione, con distribuzione del colore a sottili filettature e a puntini, con effetto quasi pulviscolare e atmosferico. Luci ed ombre definiscono bene anche i vari piani e i dislivelli, senza giungere a minuzie descrittive, con un equilibrio perfetto dei piani e dei volumi, preparando la soluzione del fondo in cui una massa d’alberi, d’un verde limpido con punteggiature gialle, segna il passaggio alla linea finale delle colline e al cielo azzurro costruito a lunghi segmenti orizzontali con filettature rosa e aranciate. La tela è quindi perfettamente armonizzata e sottolinea un momento particolare della vita paesana, col contadino che avanza in un clima terso in cui tutto sembra fermo e immoto, pur senza essere rigido e in assoluta assenza di linee di contorno. Pellizza cercava probabilmente di rileggere alcune fasi della sua esperienza giovanile, tornando a inquadrature molto composte, ma rivivendole con la sapienza di chi aveva ormai appreso a utilizzare con estrema libertà la tecnica divisionista. Da questo punto di vista Pontecastello è ancor più sicuro di Vecchio mulino a Volpedo e di Strada nuova a Volpedo; tali opere formano quasi una specie di trilogia, con vedute di paese eseguite o finite tra 1903 e 1904.
Pellizza da Volpedo. Catalogo generale, a cura di Aurora Scotti, Milano 1986, scheda 1179

Pontecastello (fotografia): Pellizza mentre dipinge, probabilmente, L’amore nella vita (pannello destro, 1904); il cavalletto del pittore è collocato pressappoco in mezzo allo slargo antistante l’edificio scolastico, dove ora si trova una piccolo isola spartitraffico; di fronte a lui l’antico corso della roggia, prima che venisse deviata; da notare, tra le fronde degli alberi, la sagoma del Poggio di Volpedo e la caratteristica costruzione con una torretta sul tetto, entrambi visibili anche nel dipinto Pontecastello. (foto Archivio Pellizza, Volpedo)

18 – LA NEVE

Pellizza da Volpedo, 1906, olio su tela, 94×94 cm – Collezione privata

L’opera, di grande efficacia cromatica, ricca di iridescenze e vibrazioni luminose, doveva essere pressoché compiuta alla fine del 1906, anno in cui qualche riferimento a paesaggi innevati si può trovare anche negli appunti di Pellizza. Nel gennaio 1906, ad esempio, scriveva a Giovanni Cena che, prima di partire per raggiungerlo a Roma, aveva intenzione di finire un paesaggio invernale, e nel novembre dello stesso anno preannunciava a Fradeletto, segretario della Biennale di Venezia, l’intenzione di inviare all’esposizione del 1907 un Crepuscolo invernale (un metro circa quadrato), che per condizione di luce e dimensione potrebbe riferirsi a La neve. Nessun appunto preciso ci illumina invece sulla genesi del quadro: si ricorda tuttavia la presenza fra i disegni del 1900 di un paesaggio in tondo orchestrato sulla presenza del canale e delle due chiuse, tale da suggerire un possibile riferimento. La presenza della donna sulla sinistra e delle due chiuse sono elementi che avvicinano l’opera al ciclo L’amore nella vita, e in particolare all’ultimo dei pannelli del trittico con un vecchio che si scalda al fuoco davanti alla chiusa e con una vecchia in secondo piano, mentre il paesaggio di fondo con la collina dominante ricorda il primo dei panelli del trittico. Se le due chiuse si impongono nei loro tratti squadrati, le restanti linee del paesaggio sono a dominante curva e serpentinata, in perfetta consonanza con la poetica dell’artista che riteneva la linea ondulata uno degli elementi necessari ad una moderna opera pittorica.
Pellizza da Volpedo. Catalogo generale, a cura di Aurora Scotti, Milano 1986, scheda 1339