La libertà (non è star sopra un albero). Un omaggio al signor G di Sergio Mascherpa ad Avolasca

Il teatro canzone di Giorgio Gaber nell’interpretazione dell’attore bresciano ha raggiunto le nostre valli, ecco come è andata.

Sabato sera scorso, presso la Proloco di Avolasca Sergio Mascherpa ha portato in scena il suo spettacolo “La libertà (non è star sopra un albero). Un omaggio al signor G“. Lo spettacolo era inizialmente previsto per il 31 luglio, ma è stato rimandato a causa del maltempo e quindi recuperato il 28 agosto. Ad assistere alla serata una cinquantina di spettatori paganti.

Una rappresentazione, quella di e con Sergio Mascherpa, che vuole essere un omaggio a Giorgio Gaber, un artista scomparso da quasi vent’anni, ma che risulta essere quanto mai attuale, come dimostra lo spettacolo. Un artista che ha saputo trovare le parole giuste per descrivere il lusso e il dramma di trovarsi a vivere nell’Italia del boom economico, degna figlia di quel concetto di democrazia “all’americana” che facilmente si ritrova ad assumere le sembianze di capitalismo. La voglia e la necessità di cambiare una società che invece rimane sempre uguale a se stessa, per cui tutte le possibilità si arenano di fronte all’ipocrisia diffusa, all’oppressione politica che diventa culturale. Lo slancio al cambiamento si arena con lo scorrere dello spettacolo, fino a diventare mano a mano sempre più stereotipato e fallimentare quando i vizi individuali vengono a galla. Ieri come oggi, forse oggi in maniera più disillusa, dal momento che è evidente agli occhi di tutti che la generazione che voleva cambiare il mondo “ha perso“.

Sono le parole parlate, la prosa, a trovare maggior spazio nell’interpretazione di Mascherpa. Circa 70 minuti di spettacolo con più teatro che canzone, almeno secondo i canoni a cui ci avevano abituati Giorgio Gaber e Sandro Luporini, suo fedele collaboratore tutta la vita. Le canzoni ci sono; alcune nella versione originale di Gaber, altre cantate dallo stesso Mascherpa, ma mai per intero. Se ne prendono unicamente i frammenti necessari e sufficienti a fare da collante tra due monologhi consecutivi. La scenografia è essenziale, minima: uno sgabello, qualche leggio qua a là (ne ho contati in tutto quattro), ognuno in una parte del palco in cui l’attore si fermerà a recitare o a cantare. Anche l’illuminazione, molto bassa, è funzionale al dare risalto alle parole.

«Un» omaggio a Gaber e a quello che avrebbe fatto lui secondo una scaletta scelta da Mascherpa. Un viaggio attraverso tutte le fasi dell’esistenza umana, toccando i temi dell’ingenua giovinezza, della presunta libertà, dell’amore, della sessualità, della politica. I testi sono tutti originali: monologhi vecchi di trenta, quaranta, cinquanta anni eppure di una modernità sconvolgente, alcuni di loro più attuali oggi del giorno stesso in cui sono stati scritti. «Un» omaggio a Gaber e a come ha saputo cogliere le nostre amarezze e contraddizioni, le nostra impotenza e ipocrisia, in una maniera così lucida. Vien da chiedersi quanto tempo passerà prima che nasca ancora un artista della sua portata.

Nella foto in alto Sergio Mascherpa al termine dello spettacolo, mi rendo conto che la foto non è il massimo della qualità, ma era molto buio ed è quello che sono riuscito a fare. Nella foto in basso i locali della Proloco di Avolasca, con gli ultimi spettatori che si attardano al termine dello spettacolo.

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