Il 1989, l’anno che sconvolse l’Occidente

Bell’articolo di Giovanni Goggi sul convegno “Oltre il muro 1989-2019”, che l’ISRAL di Alessandria ha tenuto a Tortona.



ABBIAMO BISOGNO DEL 1989

La storia ci insegna che a costruire muri siamo bravissimi. Ma non lo siamo altrettanto nell’abbatterli: l’uomo ha eretto steccati di ogni tipo, penso alla Grande Muraglia cinese o al vallo di Adriano, alle fortezze militari o alle barriere di confine. È, invece, di soli trent’anni fa la più eclatante demolizione di cui la società occidentale si sia resa protagonista: nel freddo novembre del 1989 da accaniti costruttori ci siamo trasformati in altrettanto alacri demolitori, abbiamo voluto unirci piuttosto che separarci.

Su questo evento fondamentale del Novecento hanno ragionato gli alunni delle classi quinte del Liceo Peano, insieme a studenti di altre scuole, nella giornata dello scorso 6 novembre partecipando al convegno nazionale “Oltre il muro 1989-2019”, organizzato dall’Isral di Alessandria, patrocinato da regione Piemonte, Comune di Tortona, Istituto Ferruccio Parri e ospitato presso la Sala Convegni della Fondazione CR Tortona. I relatori hanno riflettuto sia sul contesto storico che ha portato alla costruzione del muro, sia a quello successivo alla caduta, trent’anni in cui si è consolidata la globalizzazione. Nella sessione pomeridiana, si sono alternati interventi relativi alla didattica di quel periodo storico.

Si riflette spesso, in questi giorni, sulla svolta epocale che ha costituito la caduta del muro di Berlino: si trattò di una vera e propria “cesura” temporale, che segnò, a parere di molti storici, la fine del secolo XX e l’avvio del nuovo millennio. Il 1989 fu l’anno della speranza, e per molti rappresentò l’agognato inizio di una società più aperta e più giusta.

Nonostante l’esempio luminoso di Berlino, però, si continuano a costruire muri. Rafforzare le frontiere sembra essere, infatti, la priorità di molti governanti: Trump annuncia di continuo l’imminente costruzione di un muro che divida gli USA dal Messico; la linea tra Israele e Palestina è sempre più infuocata, e così anche quella tra le due Coree. Tutto questo perché ci sentiamo “minacciati dall’altro”. Anche in questo caso riflettere sull’etimologia delle parole può aiutarci: spesso abusiamo della parola “confine”, usandola come sinonimo di “barriera” o di “limite”. In realtà, confine deriva dal latino cum + finire, letteralmente “finire con, assieme”: è quindi un termine che implica l’altro, il diverso, perché questo dovrebbe essere il confine tra due paesi, un luogo di incontro e non di divisione, una porta aperta e non sbarrata. La storia ci mostra che i problemi tra gli uomini si risolvono con il dialogo. Ci sono anche muri sociali e psicologici, che sono ancora più difficili da abbattere, proprio perché radicati nell’individuo: i pregiudizi. Ci fanno vedere la realtà da una limitante e superficiale prospettiva, certamente insufficiente per conoscere a fondo la complessità in cui viviamo e ci precludono la possibilità di accogliere l’altro e di arricchire così le nostre relazioni interpersonali.

La lezione del 1989 sembra sia persa, dopo appena trent’anni. Eppure, mi piace sperare che un giorno si presentino ancora persone (non importa di che nazionalità) che abbiano il coraggio di abbattere i muri che ci dividono, dandoci l’opportunità ancora una volta di chiamarci “fratelli”.

Giovanni Goggi
V Classico, Liceo Peano

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